Pubblicata la Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee

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5/1/2021 Oggi la Sogin ha dato notizia dell’avvenuta pubblicazione, sul sito del deposito nazionale, della Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee a ospitare il Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi e il Parco Tecnologico. Si entra così nel vivo della percorso di individuazione del sito in cui verrà costruito il Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi, un deposito che avrà le caratteristiche di deposito definitivo di superficie per i rifiuti a molto bassa attività e bassa attività ma sarà anche un deposito per lo “stoccaggio-immagazzinamento a titolo provvisorio di lunga durata dei rifiuti radioattivi a media e alta attività”. Attualmente l’Italia è sprovvista di depositi definitivi e quando si arriverà alla realizzazione di questo impianto che è ora allo studio mancherà ancora il deposito definitivo per i rifiuti a media e alta attività, una struttura che richiede di essere costruita all’interno di una “formazione geologica” con caratteristiche particolari. Ricordate il caso di Scanzano Jonico? All’interno del suo territorio si trova una miniera di salgemma, ad una profondità superiore ai 500 m e che secondo qualcuno risaliva al pleistocene ed era rimasta integra (sempre secondo qualcuno) per tutto il tempo che separa quest’epoca geologica dai giorni nostri. Il Governo in carica a quell’epoca, presieduto da Berlusconi, emanò un decreto (Decreto-Legge del 14 novembre 2003 n°314 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n°268 anno 144 serie generale del 18 novembre 2003) in cui stabiliva di realizzare il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi (in quel caso tutti, inclusi gli elementi di combustibile irraggiati, i materiali nucleari, i materiali provenienti dalle dismissioni delle centrali, ecc.) in questa miniera, chiarendo che detto deposito sarebbe stato “opera di difesa militare di proprietà dello Stato”, i terreni sarebbero stati espropriati e la realizzazione sarebbe terminata entro il 31 dicembre 2008. Si scatenò una protesta in seguito alla quale il Governo ritornò sui suoi passi e rimise in discussione la decisione sul luogo in cui realizzare questa delicata struttura. Oggi si è arrivati ad individuare un elenco di 67 aree che potrebbero essere idonee per ospitare qualcosa di decisamente meno impegnativo rispetto a quanto annunciato con quel perentorio, decisionista, goffo passo del secondo Governo Berlusconi. La pubblicazione dell’elenco dà il via ad un processo, chiamato “Consultazione pubblica per l’avvio della procedura di localizzazione, costruzione ed esercizio del Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi e Parco Tecnologico” per scegliere tra queste aree quella in cui sorgeranno le strutture. Ora le Regioni, gli enti locali e i soggetti portatori di interesse qualificati hanno 60 giorni di tempo per esaminare i dettagliati progetti proposti, formulare osservazioni e proposte tecniche, valutare eventuali ricorsi. L’impianto che verrà realizzato si ispira alle indicazioni contenute nel Decreto Interministeriale del 7 agosto 2015 (che però è legato ai valori del vecchio Decreto Legislativo 230/95) e abbiamo detto che ospiterà in maniera definitiva “rifiuti radioattivi a molto bassa attività” e “rifiuti radioattivi a bassa attività”: i primi sono definiti come rifiuti con concentrazione di attività inferiore a 100 Bq/g di cui al massimo 10 Bq/g di radionuclidi alfa emettitori a lunga vita; i secondi sono definiti come rifiuti con concentrazione di attività inferiore o uguale a 5 MBq/g per radionuclidi a vita breve (cioè con tempo di dimezzamento superiore a 100 giorni e minore o uguale a 31 anni), con attività inferiori a 40 kBq/g per gli isotopi a lunga vita del nichel e con attività inferiori o uguali a 400 Bq/g per i radionuclidi a lunga vita. Si stima che questi materiali necessitino di un confinamento e isolamento di qualche centinaio di anni. I progetti sono impostati per tempi “superiori ai 300 anni” e la capacità delle strutture sarà di 78000 m3. Ma l’impianto in oggetto ospiterà anche, seppur temporaneamente, rifiuti radioattivi a media ed alta attività con un deposito di 17000 m3. Non è dato sapere per quanto tempo tali rifiuti rimarranno parcheggiati all’interno di questo impianto. Si tratterà di qualche decina di anni, forse di meno, forse di più, di sicuro, però, ad un certo punto sarà necessario trasferirli in una sistemazione definitiva di tipo “geologico”. D’altronde le prime centrali elettronucleari in Italia sono state costruite all’inizio degli anni sessanta del novecento e da allora gli unici depositi temporanei a disposizione a livello nazionale sono stati realizzati all’interno di alcune di esse (soprattutto Casaccia), quindi la “limitatezza temporale” di cui sono caratterizzati si è protratta per almeno sessant’anni. Se facciamo un confronto con la Francia notiamo, com’era da aspettarsi dato il massiccio ricorso alle centrali elettronucleari (senza dimenticare l’arsenale atomico), che i depositi di superficie sono più d’uno e che i volumi sono ingenti: un primo deposito (Manche) è stato riempito con 500000 m3 di rifiuti ed è stato chiuso nel 1994, altri due (L’Aube e Morvilliers) sono attualmente in funzione, con una capacità complessiva più o meno quantificabile in 1600000 m3. Una curiosità: gli ultimi due centri che ho citato si trovano nella “Champagne”, la zona da cui proviene il famoso spumante d’oltralpe. Potrebbe essere un segno sovrannaturale che faccia presagire che da noi la scelta ricadrà su Montepulciano?

Champagne e Montepulciano